lunedì 1 gennaio 2018

"La grande bellezza" di Paolo Sorrentino (FILM), 2013 - premio Oscar 2014 per il miglior film straniero

Un film pieno di citazioni artistiche: antiche ville, ornate da quadri di Raffaello e Caravaggio, architetture del più nobile Rinascimento italiano e insistenti riferimenti al classicismo.
Teatro dell'opera è una Roma così ridondante di stimoli culturali,  da indurre l'intero mondo intellettuale ad uno stato di ottundimento creativo.
La cultura si riduce a una dimensione velleitaria, futile quanto futile è quell'edonismo calibrato su qualsiasi tipo di eccesso: stili di vita conditi di droga e sesso, al servizio dello squallore, propinato sotto le mentite spoglie di espressione artistica. 
Il realismo è crudo: turismo di massa teso unicamente al consumismo, in apparente contrasto con feste di un mondo artistico, in realtà vuoto di contenuti. L'arte moderna in confronto al classicismo sembra simboleggiare il decadimento dell'età post-moderna. A imperare è il nichilismo.
Dai ritmi estremamente lenti, la proiezione assume le sembianze di un film francese. Allo stesso tempo la varietà dei personaggi sembra propria di un'opera di Fellini.
La narrativa è frammentata: sul racconto, prevalgono suggestioni immaginifiche, supportate da una fotografia mozzafiato. Sembra un sogno o, meglio, un incubo. Lo scorrere dei minuti regala sensazioni, emozioni, sapori dal retrogusto amaro. La risata si rende sarcastica, volgare, quando l'amarezza della disillusione di un'opera d'arte mancata, ci mette in contatto con l'impossibilità di trovare un gesto espressivo degno di nota. 
Qui il ruolo della critica d'arte sposta l'attenzione da chi quell'opera l'ha prodotta, a chi invece si limita a commentarla, spesso distruggendola con cinismo. Il personalismo del potere del critico d'arte è ben maggiore della comunicazione espressiva in una società insicura. L'artista perde il suo ruolo perché è vittima di giudizi insindacabili del critico d'arte: la sentenza sull'opera ha potere di vita e morte sulle persone. Non a caso la morte è uno dei temi più volte citati durante il film: morti casuali per improvvisi malori e morti cagionate dal suicidio di chi rimane emarginato da tanto caos intellettuale. Morti romantiche e morti drammatiche: in ogni caso morti celebrate secondo canovacci rigidi, studiati alla perfezione, in una dimensione scenica che diventa blasfemai.
Eppure anche in questa dimensione così nichilistica, la relazione umana sembra occupare progressivamente il suo degno ruolo.
Il film trova uno svolgimento dal lieto finale: il trucco delle scene sottende una verità illusoria da non confondere con i valori dell'esistenza. Se si trova il coraggio di accettare la fragilità dell'esistenza, possiamo guadagnare lo spazio di espressione del mondo emotivo interiore.

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