lunedì 7 febbraio 2022

"Non picchiarmi più" di Dave Pelzer, Tascabili Menzogno - Best Seller, Milano, 2001. Titolo originale "IT: one child's courage to survive", 1995, tradotto per la prima volta in italiano nel 1999 col titolo "Un bambino chiamato cosa"

 Un bambino maltrattato ai limiti dell'inverosimile racconta il coraggio di sopravvivere. 

Il libro autobiografico è raccapricciante. 

Come può una madre diventare così crudele da maltrattare il figlio fino a rischiare di ucciderlo? Da quanto racconta Dave Pelzer, la sua triste vicenda infantile lo vede sopravvissuto alla violenza materna solo per miracolo. I maltrattamenti sono durati quasi cinque anni, ovvero per l'intera durata delle scuole elementari. Il padre era presente in casa, ma a sua volta passivo innanzi alle ingerenze della madre. 

Dave era il maggiore di quatro fratelli e improvvisamente divenne il capro espiatorio della madre, la quale gli privava il cibo, costringendolo a inventarsi i più fantasiosi espedienti per nutrirsi (rubava le merende a scuola o piccoli quantitativi di cibo al supermercato, faceva l'elemosina di cibo, rovistava nella spazzatura), con la paradossale conseguenza di fare arrabbiare ulteriormente la madre, la quale intendava educare il figlio attraverso punizioni progressivamente più violente e crudeli. La violenza divenne l'unico canale di comunicazione perpetrata per mano di una madre che sostituì l'amore col cinismo.

Ancor più di eccessi di mezzi correttivi, il bambino è stato vittima di torture:  è stato ustionato a un braccio, accoltellato, sottoposto a esalazione di varichina e amuchina. Le pagine del racconto sono pesanti come macigni e al termine della lettura una sola domanda emerge: perché?

Perché esiste la violenza contro i bambini? Perché i bambini devono soffrire?

Purtroppo le violenze contro i bambini sono molto frequenti. Ancora oggi, la cultura della violenza infrafamiliare è diffusa: pare proprio che i bambini siano l'ultimo degli interessi di un mondo adulto troppo distratto.

Perché? In data 6.2.2022, in occasione dell'intervista televisiva a cui si è prestato Papa Bergoglio (Rai 2 "Che tempo che fa"), il Santo Padre ha risposto: "Non lo so. Dio è onnipotente, ma solo nell'amore. Non ho spiegazioni spirituali, ma gli psicologi sanno spiegare bene cosa succede nelle famiglie. Prego per le vittime indifese".

Ebbene, da un punto di vista psicologico, ho notato che tra le mura domestiche di Dave Pelzer girava molto alcol e i racconti della vittima dimostrano che il comportamento della madre era proporzionato al tasso di alcolemia del momento: quando beveva, la madre diventava più violenta e cinica. Spesso i genitori bevevano insieme.

Sembra strano, ma l'alcol si associa a molti reati violenti. Come criminologo ho osservato che molti omicidi sono commessi sotto l'effetto di alcol o altre sostenze psicoattive.

Naturalmente l'alcol non è l'unico fattore di rischio del maltrattamento infantile, ad esso si associano meccanismi familiari e sociali: la presenza di una padre incapace di prendere posizione innanzi alla madre violenta, operatori scolastici fin troppo lenti o distratti a intervenire a tutela del bambino, vicini di casa che, pur vedendo quanto succedesse, preferiscono tacere, anzichè denunciare.

Le pagine finali del libro sono dedicate alla necessità di sensibilizzare l'intera collettività: tacere significa colludere con la violenza e se vogliamo una società più vicine ai bambini, tutti ... dico TUTTI dobbiamo sentirci in obbligo a denunciare quanto vediamo.

Dave Pelzer oggi è un adulto, a sua volta padre, impegnaoto in numerose iniziative di sensibilizzazione, perché la violenza contro i bambini cessi una volta per tutte: un sogno o un'utopia?

domenica 6 febbraio 2022

"Una barca nel bosco" di Paola Mastrocolla (2003, premio Campiello 2004)


Malgrado sia passato molto tempo da quando ho letto il romanzo, rimane ancora vivido il ricordo delle sensazioni suscitate dal protagonista, Gaspare, un giovane che incontra mille fatiche per relazionarsi con i compagni di liceo e con gli insegnanti.

Gaspare è un ragazzo spontaneo, che agisce senza sovrastrutture e si sente continuamente fuori luogo in un mondo che privilegia l'apparenza all'essenza, il vestito di marca ai valori, o il bullismo alle relazioni amicali.  Anche all'università, il nepotismo prevale sulla cultura e sulla meritocrazia, a conferma di un'ipocrisia collettiva, che sembra caratterizzare la nostra società, fino ad assuefare la collettività ad un torpore generale, apatico e allo stesso tempo insensibile ai valori morali ed etici delle relazioni sociali. Nella sua ingenuità, Gaspare rimane vittima delle mille contraddizioni che pervadono l'intera collettività moderna, fino a mettersi lui stesso in discussione: sono io che non vado bene? Dal disadattamento, scaturisce nel protagonista un malessere generale, che finisce per stroncare l'autostima, e con essa, ogni progetto di carriera.
Il racconto è divertente, la lettura scorre via, delinenando con precisione i tratti psicologici e relazionali del simpatico Gaspare: il romanzo suscita intense emozioni  e profondi moti di empatia nei suoi confronti.
Mi sono identificato spesso con questo giovane: una barca nel bosco, con la sgradevole sensazione di essere fuori luogo, in un sistema scolasico che nel corso dell'adolescenza mi ha condizionato fortemente. Solo da grande, quando ho acquisito gli strumenti per comprendere meglio quanto mi era capitato, ho capito che non ero io la persona sbagliata, ma la scuola e, con essa, tutti quegli insegnanti che trattano gli studenti come numeri e non come persone.
Più in generale, non ero io ad andare sempre in salita, ma la società ad andare a rotoli.
Così ho imparato a credere in me stesso e a sviluppare una maggiore critica per persone o istituti che giudicano. Mi torna in mente la legge della profezia che si autoavvera: se un giovane è sottoposto a continui giudizi e etichettamenti negativi, faremo di quel giovane un disadattato.
Nel mio lavoro di psicologo trovo molte persone schiacciate dai luoghi comuni: la loro concezione di sè è stata compromessa da genitori a loro volta sofferenti di bassa autostima o da istituti scolastici contraddistinti da pregiudizi o da stupidi preconcetti: in questo modo il giovane (e l'adulto) si convince di non avere i numeri per emergere, ma non è vero, si tratta solo di una falsa convinzione impostagli da terze persone, che non hanno saputo valorizzare le sue capacità. Se il giovane è trattato con rispetto e fiducia e viene incoraggiato ad apprendere, con la convinzione che può farcela e che laddove incontri delle difficoltà, vale la pena aiutarlo, allora quel giovane si impegnerà a superare i propri limiti e a trovare le modalità per esprimere se stesso.
Trovo molto triste una scuola che non riesca a farsi carico delle necessità dei singoli, riducendo l'attività formativa ad una pratica standardizzata di massa: se un giovane incontra problemi nel percorso di studi, l'istituzione scolastica punta il dito contro di lui o i suoi genitori, di fatto ritenendosi estranea ad ogni responsabilità sottesa dal fallimento. Ho la sensazione  che la scuola finisca in questo modo per colludere con le  difficoltà del giovane, aumendone l'emarginazione.
A questo punto il pensiero va a Don Milani e alla memorabile "Lettera ad una professoressa" (1967), dove il celebre pedagogo denuncia una scuola classista, che esclude i poveri ad interesse dei ricchi, i cui destini futuri sono condizionati già dai banchi di scuola.

"Sogno imperfetto. Come vivere diversamente felici" di Francesca Cerreto. I Libri Mompracem, 2022

Un diario autobiografico scritto da una mamma, che insieme al marito adotta un bambino con bisogni speciali.  Dal libro si evince quanto già...